La forte ripresa economica post pandemica, sommata alle tensioni geopolitiche, ha spinto i prezzi di petrolio, gas e Power Purchase Agreement, ripartizione degli oneri fra le Regioni, semplificazione. Diverse riforme attese da anni non possono più aspettare se l’Italia vuole centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dall’Unione Europea.
Nell’agosto 2019 il decreto rinnovabili prevedeva la creazione di una piattaforma per la contrattazione di lungo termine di energia rinnovabile. Una consultazione pubblica e quasi due anni e mezzo dopo, la misura resta inattuata, privando l’Italia di un efficace strumento di decarbonizzazione.
Con il cosiddetto Power Purchase Agreement (Ppa) un’impresa si impegna con un produttore ad acquistare energia da un impianto rinnovabile ancora da sviluppare. Per il produttore il vantaggio è la garanzia dei futuri ricavi che rendono il progetto bancabile, per l’impresa la certezza sui costi delle forniture future che mette al riparo da pericolosi rincari.
Si tratta insomma di uno strumento virtuoso la cui diffusione andrebbe sostenuta anche attraverso fondi d’investimento pubblici e privati. La mancanza della piattaforma e di altri incentivi allontana l’obiettivo di raggiungere il 72% di rinnovabili nel mix elettrico nel 2030 e di conseguenza rallenta il cammino di decarbonizzazione dell’industria energivora.
Gli ostacoli lungo questo percorso sono numerosi e la loro rimozione richiede una serie di cambiamenti normativi che andrebbero a vantaggio di una più rapida transizione ecologica. La madre di tutte le riforme è la semplificazione.
Oggi i tempi di autorizzazione di un impianto rinnovabile in Italia si aggirano in media sui 7 anni, i più alti in Europa così come i costi procedurali. Per ridurli occorrerebbe diminuire i centri decisionali e coordinarne l’azione in modo da evitare decisioni divergenti.
Sarebbe utile che il governo centrale disponesse di poteri sostitutivi nel caso di inerzia delle Regioni nell’indicarne ai produttori.
Questo intervento di supplenza non è però possibile sinché non vengono fissati obiettivi di installazione minimi di rinnovabili zona per zona. Allo stato, infatti, non è prevista una ripartizione fra le Regioni dei 70 GW di energia pulita da produrre entro il 2030.
Non è stato stabilito un piano di sharing di oneri e di condivisione delle opportunità. Se adeguatamente supportata, infatti, la lotta al cambiamento climatico rappresenta un’enorme occasione di crescita economica per i territori e per le imprese, specie per quelle energivore.
È possibile e doveroso stabilire un forte legame tra le rinnovabili e i settori ad alta intensità di emissione in un circolo virtuoso che alimenti lo sviluppo delle prime e la decarbonizzazione dei secondi. Si potrebbe per esempio istituire un fondo pubblicato dedicato a sostenere gli investimenti nella transizione di acciaio, carta, cemento, ceramica, chimica, fonderie e vetro.
Nell’ambito della semplificazione andrebbe accelerato in particolare il processo autorizzativo per l’installazione di impianti rinnovabili nelle aree industriali. Sarebbe infine opportuno un prolungamento del regime di import virtuale con vincolo ad importare solo energia verde (con certificati d’origine), allargando al contempo il sistema a tutti i Paesi europei in modo da agevolare la formazione di un’unione anche energetica.