I permessi CO2 scenderanno del 4,2% all’anno e il loro prezzo è perciò destinato a salire. L’obiettivo è incentivare la transizione verde, ma gli extra costi possono mandare fuori mercato le imprese europee: il mercato ETS va riformato.
Emettere una tonnellata di anidride carbonica in un paese dell’Unione Europea costava 34€ a inizio 2021. Ad agosto 2021, lo stesso costo era lievato a 61€ la tonnellata.
Una vera e propria impennata dell’80% dei prezzi della CO2 in meno di otto mesi. Alla base del drastico incremento, il piano Fit for 55 proposto dalla Commissione Europea, che prevede un taglio netto ai permessi di emissione riconosciuti alle industrie ad alto consumo di energia.
Istituito nel 2005, il sistema per lo scambio di quote di CO2 assegna a ciascuna impresa un certo numero di certificati per inquinare, consentendo loro di scambiare eventuali eccedenze di questi “permessi”. L’offerta è controllata da Bruxelles, che fissa un tetto complessivo e distribuisce i cosiddetti EUA – acronimo di European Emission Allowance, o “permesso di emettere gas serra”. La domanda è determinata dai bisogni dei singoli settori.
Le aziende possono poi vendere o comprare sul mercato permessi di inquinamento a seconda che le loro emissioni siano al di sotto o al di sopra della quantità di certificati ricevuta. L’incontro di domanda e offerta stabilisce il prezzo delle quote e indirettamente dell’anidride carbonica nell’Unione Europea. Maggiore è il prezzo, maggiore sarà il costo di inquinare, maggiore l’incentivo alla decarbonizzazione industriale.
Per centrare l’obiettivo di abbattimento del 55% delle emissioni entro il 2030, la Commissione intende ora spostare il punto di incontro tra domanda e offerta ben più in alto. Nel 2021 Bruxelles ha proposto di togliere dal mercato 117 milioni di permessi, riducendo l’offerta del 4,2% all’anno in modo da farne lievitare le quotazioni.
Un altro elemento da tenere in considerazione è la partecipazione al mercato ETS dei fondi di investimento, la quale causa spesso brusche oscillazioni dei prezzi. Per programmare una transizione verde sostenibile, le imprese avrebbero invece bisogno di quotazioni stabili dei permessi per emettere CO2. Nel sistema andrebbero introdotti meccanismi per arginare la speculazione finanziaria ed evitare fluttuazioni insostenibili per i settori industriali.
Sempre per ragioni di equità le aziende non dovrebbero pagare i permessi di inquinamento due volte: direttamente per le proprie emissioni e indirettamente per via dell’aumento delle bollette dei produttori di energia. Da tempo l’UE consente di evitare questa doppia imposizione con schemi di compensazione dei cosiddetti costi CO2 indiretti. A differenza di Germania, Francia e altri Stati membri, però, l’Italia non ne ha mai adottati. Una carenza che penalizza l’industria nazionale. Senza correttivi, insomma, l’inflazione incontrollata degli ETS rischia di mandare fuori mercato la manifattura europea, aumentando le delocalizzazioni produttive.
La Commissione si è posta il problema, e vorrebbe imporre un dazio verde sulle importazioni da Paesi extra-comunitari dove non vige un tetto all’inquinamento. Più che protezione dalla concorrenza, però, le imprese chiedono sostegni legislativi e finanziari per trasformare la decarbonizzazione in vero vantaggio competitivo.