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Le rinnovabili come risposta all’impennata dei prezzi dei combustibili fossili

Le rinnovabili come risposta all’impennata dei prezzi dei combustibili fossili

La forte ripresa economica post pandemica, sommata alle tensioni geopolitiche, ha spinto i prezzi di petrolio, gas e carbone a livelli record. L’incremento del prezzo dei combustibili fossili mette a rischio la competitività dei settori energivori, erodendone i margini. Uno stimolo in più per completare la transizione energetica.

Prezzo del gas naturale: +600% da inizio anno. Petrolio: +100% negli ultimi 12 mesi. Carbone: +220% nel 2021. Per tutta la seconda parte del 2021, il prezzo dei combustibili fossili ha continuato a crescere, malgrado le intenzioni di molti governi di affrancarsi da questa forma di approvvigionamento energetico. 

Con il paradosso che persino la quotazione del carbone, la fonte di energia più inquinante in assoluto, ha toccato i massimi nelle settimane precedenti la Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico, la COP26 di Glasgow. 

Cosa ha determinato questo rialzo simultaneo dei prezzi di tutte le fonti fossili?

In primo luogo, la robusta ripresa economica che ha fatto seguito la fine dei lockdown in tutto il mondo. Una ripresa così forte che ha colto di sorpresa i produttori di energia, impreparati al repentino e simultaneo ritorno della domanda, in particolare da alcune nazioni. 

Qualche dato: il maggior produttore di gas al mondo, la Russia, prevede entro fine 2021 un aumento significativo della domanda di gas nei paesi della regione Asia-Pacifico, un incremento stimato tra il 7 e l’8%.  

A trainare la domanda la Corea del Sud (+18%) ma soprattutto un colosso come la Cina, la cui fame di gas salirà del 17% entro la fine del 2021, diventando il primo paese importatore di gas naturale al mondo e superando il Giappone.

La forte crescita del prezzo del gas è anche parzialmente imputabile ad una situazione transitoria legata alla transizione ecologica: la stretta delle autorità europee sui permessi di emissione ha spinto molti settori industriali a rivolgersi maggiormente al gas, il meno impattante tra i combustibili fossili, aggiungendo ulteriore pressione dal lato della domanda.  

Va poi registrata una forte diminuzione degli investimenti upstream, ovvero gli investimenti a monte della filiera energetica per creare nuova capacità di produzione nei giacimenti.  Questi investimenti, che vanno pianificati con anni di preavviso, erano stati stoppati dallo scoppio della pandemia.

La combinazione di questi fattori ha comportato un aumento dei prezzi per i consumatori finali, le industrie, con una netta erosione dei loro margini. Una situazione che, se protratta nel tempo, rischia di minare al cuore la competitività dei settori energivori.  

Un piccolo esempio, di grande significato: ai prezzi attuali il conto del gas per alimentare le fornaci delle 64 vetrerie di Murano potrebbe salire a 8 milioni di euro all’anno – un costo insostenibile per i 650 artigiani dell’isola veneziana. Per le stesse ragioni alcune cartiere stanno sospendendo le attività in attesa di un rientro dell’inflazione di materie prime ed energia. 

Per le aziende più grandi il rischio è infatti di incorrere in un paradosso: più produzione, più perdite. L’incremento dei costi di materie prime ed energia non può esser sempre interamente trasferito ai clienti intermedi e finali, con il risultato che talvolta risulta più conveniente fermare le fabbriche che evadere gli ordini. 

Il pericolo riguarda tutte le filiere dell’industria energivora. Secondo Confindustria Ceramica, alle quotazioni attuali la bolletta gas nel 2022 risulterebbe pari a 1,25 miliardi, circa un quarto dei ricavi di un settore per cui l’energia già oggi incide per più del 25% dei costi di fabbricazione.

Impossibile in queste condizioni mantenere una sostenibilità economica, a meno di trovare soluzioni alternative. Da qui la necessità di insistere su leve tecnologiche quali l’efficienza energetica, i combustibili low carbon e l’economia circolare. 

Già diverse imprese cartarie stanno valutando di sostituire il gas naturale con il biometano, potenzialmente disponibile in quantità in Italia ma ancora poco sfruttato. Per decarbonizzare altri processi e altri settori energivori occorreranno tecnologie promettenti ma ancora non pienamente mature quali l’idrogeno verde e l’elettrificazione dei processi produttivi. 

Lo sviluppo di queste soluzioni e la loro adozione su scala industriale richiederanno miliardi di investimenti, che le imprese da sole non potranno sostenere. Servirà il pieno aiuto di governo e autorità locali per sostenere la transizione energetica dell’industria italiana, specialmente dei settori energivori. 

L’impennata dei  combustibili fossili del 2021 è un monito importante: gli idrocarburi, oltre che inquinanti per l’ambiente, possono tramutarsi in un costo insostenibile per le imprese.